Scacchi e Mental Training

Ci sono persone che hanno vite piuttosto lineari, molte volte di grande successo, altre che hanno vite piuttosto complicate con varie esperienze a costellarne gli alti e bassi. Io appartengo alla seconda categoria: sicuramente quella che si trova a subire i maggiori stress ma anche quella che, grazie agli stimoli costanti, ha la possibilità di arricchirsi giorno per giorno di esperienze nuove e diverse.
 
Dopo la laurea ho subito cominciato la carriera aziendale diventando dirigente a 28 anni, durante la carriera da dirigente mi sono trovato per la prima volta a sentir parlare di mental training ed a provare di persona cosa volesse dire avere un esperto che ti aiutava ad individuare i “bugs” della tua mente al fine di permetterti un miglior uso delle tue potenzialità.
 
Successivamente ho approfondito il tema per rafforzare le mie capacità come formatore di forza vendita. Guardavo negli occhi degli allievi e capivo quanto si alzava il loro livello di interesse nel momento in cui, alle tecniche standard che spiegavo, aggiungevo riflessioni sul loro “essere” e su come il lavoro sul loro carattere e sui loro approcci mentali fosse decisivo per ottenere i risultati che si prefiggevano.
 
Tra gli studi e queste attività lavorative ho coltivato due hobbies, gli scacchi, di cui parleremo dopo, e il football americano.  Nel football la sfortuna di essere “tagliato” da un grave infortunio mi ha aperto le porte ad una brillante carriera da allenatore che mi ha portato ad allenare la nazionale italiana. Anche in questo caso, soprattutto grazie alla numerosa documentazione trovata negli Stati Uniti, ho avuto la possibilità di studiare e sperimentare le tecniche di mental training in modo da poter gestire i giocatori non solo come delle “macchine da football” ma come degli esseri umani sensibili (anche se spesso rozzi) che avevano bisogno di qualcuno che sapesse entrare nella loro testa per fare uscire il meglio delle loro potenzialità.
 
Più recentemente ho avuto due grandi occasioni per lavorare sulla mia capacità di gestire ed utilizzare la mia mente. Ho provato a far politica diventando Sindaco di un comune di 30.000 abitanti, con tutti gli stress che ciò comporta e ho avuto infine il dubbio onore di farmi tre mesi di carcere in custodia cautelare.  L’esperienza carceraria è stata decisiva per mettere alla prova la mia capacità di gestire lo stress e di adattare la mia mente alle situazioni impreviste: ne sono uscito bene, psicologicamente rafforzato e più sicuro di me (con 1000 altri problemi, come potete immaginare, ma con la consapevolezza di poterli risolvere).
 
Ho così deciso di provare a mettermi in gioco come mental trainer con la consapevolezza di poter aiutare gli altri a migliorare il rapporto con la propria mente e ho considerato che gli scacchi sono sicuramente un mondo dove il lavoro di un mental trainer può portare risultati importanti e conseguenti soddisfazioni. Del resto se si pensa che il mental training è usato da sportivi di discipline decisamente “fisiche” è facile immaginare come abbia immensi spazi in una disciplina decisamente “mentale”.
 
L’idea di propormi agli scacchisti nasce anche dalla mia stessa passione per questo gioco. Tra i 12 e i 17 anni gli scacchi sono stati davvero al centro della mia vita; sono diventato CM molto giovane. Poi però la passione è andata diminuendo fino ad esaurirsi del tutto alla fine dell’ Università. Sono stato 15 anni senza toccare un pezzo, poi a 40, quasi per caso, ho deciso di ricominciare con l’obiettivo di diventare Maestro. La mia cultura scacchistica era ormai limitata rispetto alla media dei giocatori di categoria magistrale e il tempo disponibile per studiare davvero poco.
 
Tuttavia con un po’ di pazienza e con un buon lavoro sul mio approccio mentale alla partita sono riuscito a raggiungere il mio obiettivo (con il prossimo aggiornamento Elo).  Ecco perchè, pur rivolgendo la mia attività di mental trainer ad ogni tipo di obiettivo, sono estremamente interessato a provare il mio approccio a questa disciplina nel mondo degli scacchi.

I giocatori di scacchi potrebbero essere suddivisi in quattro categorie:

  • Quelli che sanno giocare e giocano bene.
  • Quelli che non sanno giocare e giocano bene.
  • Quelli che non sanno giocare e giocano male.
  • Quelli che sanno giocare e giocano male.

 
Il primo gruppo è quello dei veri e propri giocatori forti, il loro Elo supera i 2400 punti e arriva fino ai vertici della classifica mondiale. Per questi giocatori il supporto di un mental trainer può essere utile per superare momenti di scarsa forma o per la preparazione di eventi particolarmente importanti ma si deve ritenere che, dati i risultati normalmente conseguiti, la loro capacità di utilizzare al meglio la mente sia più che soddisfacente.
 
Il secondo gruppo è composto da quei giocatori che hanno una limitata cultura scacchistica, fanno spesso mosse che fanno inorridire, hanno un repertorio di aperture scarsino e magari conoscono ben poco la teoria dei finali di torre; tuttavia grazie alla loro tenacia, alla combattività e ad una costanza  invidiabile, riescono a raggiungere buoni risultati  anche se difficilmente superano i 2.300 punti. Per loro il mental trainer è ovviamente l’ultimo dei problemi.
 
Il terzo gruppo assomma alle carenze di cultura scacchistica anche una scarsa attitudine mentale al gioco, per loro il mental trainer potrebbe fare qualcosa, ma, anche ammesso che riuscisse a trovare le chiavi per capirne i limiti farebbe bene come prima cosa a consigliarli di partire da un adeguato studio della disciplina in cui vuol competere.
 
Il quarto gruppo è probabilmente quello più indicato per il mental training, si tratta di giocatori che vagano tra i 1800 e i 2300 punti Elo, spesso dotati di eccellente cultura scacchistica, con un solido repertorio di aperture, una buona conoscenza delle strutture pedonali, una chiara visione della superiorità/inferiorità nelle situazioni alfiere contro cavallo ed una discreta conoscenza della tecnica dei finali. Tuttavia i risultati sono molto inferiori alle attese. Tipicamente sono quei giocatori che perdono le partite “vinte con una facilità disarmante, quelli che mentre pensano a come sfruttare al meglio l’alfiere buono contro quello cattivo non si accorgono che l’alfiere cattivo dell’avversario viene sacrificato su un pedone lasciando il pedone dell’avversario libero di andare a promozione.
 
Negli ultimi venti anni questa categoria di giocatori è molto cresciuta. Negli anni ’70, quando ero un giovane scacchista affamato di “cultura”, ottenere una formazione decente era difficilissimo. Pochissimi i libri (meno ancora quelli in italiano), rarissimi i giocatori più forti disposti ad insegnarti, inesistenti gli allenatori professionisti, non ancora inventato il computer. In quegli anni la differenza di cultura scacchistica era enorme tra chi riusciva a procurarsi “qualcosa” e chi si rassegnava allo stile “da bar” Oggi il mondo è cambiato, ogni appassionato che abbia voglia e tempo può procurarsi tutta la cultura che vuole, ci sono molti bravi allenatori professionisti che ti possono guidare nell’utilizzare al meglio la cultura disponibile e, ultimo ma non per importanza, c’è il computer che ti offre la possibilità di analizzare e sperimentare ogni idea che ti viene in mente.
 
E’ evidente che oggi la cultura scacchistica si è livellata verso l’alto lasciando quindi spazio negli scacchi agonistici ad altre caratteristiche e attitudini che fanno parte delle doti caratteriali più che di quelle più prettamente scacchistiche. Penso alla capacità di concentrazione, alla combattività, alla resistenza alla tensione nervosa, alla carica motivazionale. Insomma quelle doti della mente che venti anni fa erano necessarie per arrivare ai vertici delle classifiche mondiali oggi lo sono anche per vivacchiare in un qualsiasi torneo magistrale.
 
Il mental trainer è quel professionista che interviene sul rapporto tra te e i tuoi obiettivi per aiutarti a trovare il modo di usare al meglio i mezzi tecnici che hai a disposizione. Non ha ricette, né medicine, ma ha la capacità di ascoltarti, di capirti e di trovare insieme a te gli approcci mentali per portarti ad essere il più vicino possibile a ciò che vorresti essere. Sicuramente lo scacchista deluso dai suoi risultati, che ha già dedicato molto tempo ad arricchire la sua “cultura”, può trovare nel mental training una risposta adeguata.

Il Mental Trainer non deve essere confuso con l’analista e nemmeno con il medico, volendo proprio trovare una definizione possiamo dire che è un mix tra il fratello maggiore, l’analista, l’allenatore e, volendo esagerare, il confessore.

E’ un punto di riferimento con il quale confrontarsi per superare le proprie paure e i propri limiti, tuttavia non si rivolge a situazioni patologiche ma a situazioni di assoluta normalità, il Mental Trainer serio nel caso in cui percepisca che i limiti del suo cliente sono legati ad una situazione psichica che si avvicina alla patologia deve (come farebbe il fratello maggiore) raccomandare un percorso assolutamente diverso (psicoterapia o psichiatria) al fine di evitare che le possibili aspettative del cliente nei confronti del Mental Trainer ritardino un intervento medico adeguato.

La libertà da procedure precise nell’attività del Mental Trainer non significa che l’attività di training si svolga al di fuori di metodologie definite, il bravo Trainer deve saper utilizzare dei modelli di intervento in modo sistematico perché solo così riesce a gestire il cliente all’interno di un processo nel quale la sua esperienza può trovare le soluzioni adeguate.

Il primo step è ovviamente la comprensione degli obiettivi: spesso i clienti si rivolgono al Trainer perchè vogliono migliorare in “qualcosa” ma non sempre questo desiderio è davvero reale e percepito in modo profondo. Uno scacchista ad esempio potrebbe desiderare di arrivare al titolo magistrale, ma alla normale domanda del Trainer: “quanti tornei vuoi fare in un anno” potrebbe rispondere: “non lo so, dipende da quanti mia moglie me ne lascia fare”. E’ quindi evidente, in questo caso, che il desiderio di ottenere il risultato scacchistico viene molto dopo al desiderio di non discutere con la moglie questo obiettivo, il Trainer quindi deve cercare di capire insieme al cliente quanto questo desiderio (il titolo magistrale) sia davvero importante nella vita del cliente.

Il secondo step è quello di capire insieme “chi è” il cliente, chi è naturalmente dal punto di vista caratteriale: quali caratteristiche ereditarie ne determinano i comportamenti, quali caratteristiche acquisite. Da qui capire i suoi punti di forza e di debolezza, ciò che va esaltato perché positivo e ciò che va rielaborato perché agisce negativamente.

Quando il cliente ha compreso chi è e cosa vuole si può entrare nel dettaglio dei singoli comportamenti e delle singole situazioni, capire perché certe situazioni producono stress ed eccesso di consumo di energie o perché certe situazioni producono relax e quindi riduzione della tensione verso l’obiettivo.

Su quest’ultimo punto si lavora per cercare di creare il miglior equilibrio possibile tra tensione e stress al fine di garantire durante la prestazione la giusta tensione evitando però un eccesso che può esaurire le risorse psichiche del cliente e portarlo ad una sorta di “collasso mentale” con esiti disastrosi sulla prestazione.

Quest’ultimo caso è tipico negli scacchi e spiega molte inspiegabili “cappelle”, vedo di illustrare cosa avviene in parole semplici, scusandomi con i medici per l’eccesso di semplificazione.

Dunque, durante una partita di torneo le risorse mentali e nervose del giocatore sono estremamente sollecitate al punto da creare un notevole aumento della frequenza cardiaca; questo stress non si esaurisce nell’attività fisica come in qualsiasi altro sport ma si accumula mossa dopo mossa. Al raggiungimento di un livello troppo alto intervengono i meccanismi di autodifesa del nostro organismo che “staccano la spina”, cioè il nostro sistema cardio-vascolare, troppo sollecitato, manda un segnale di pericolo al cervello e il cervello, sapendo quanto è importane il sistema cardio-vascolare, decide di interrompere l’attività che è causa dello stress. In questa situazione noi perdiamo il controllo delle nostre risorse mentali ed agiamo “fuori controllo” facendo una mossa priva di ogni logica e priva di ogni analisi.

E’ evidente che queste “cappelle” non sono dovute alla mancanza di cultura scacchistica del giocatore ma solo ad un non utilizzo delle sue capacità.

Faccio due esempi, il primo tratto dalla mia pratica scacchistica: in un torneo open giocavo con un MI che aveva circa 300 punti Elo più di me, la posizione era interessante, probabilmente pari, io però ero in zeitnot (si giocava con il tempo Fischer e giocai le ultime 20 mosse in 4 minuti più i 30 secondi di bonus), incredibilmente giocai tutte mosse precise e, alla fine, sfruttai un errore dell’avversario vincendo la partita: ero “teso” ma non “stressato” perché l’ipotesi di perdere l’avevo già metabolizzata; al turno dopo, con un giocatore di Elo più o meno come il mio, dopo aver ottenuto un chiaro vantaggio in apertura, cominciai ad accumulare stress perché l’avversario riusciva a trovare risorse difensive inaspettate, mi sentivo “pesante” perché la vittoria del giorno prima aveva aumentato la mia “ansia da risultato” e, alla fine, non vidi un banale matto in due in una posizione dove il mio vantaggio era assolutamente decisivo.

Ora, io ero lo stesso del giorno prima, dal punto di vista della cultura scacchistica, ma la mia mente non è stata sfruttata nel modo corretto ed il risultato ne è stata la diretta conseguenza.

Nel campo del Football Americano mi è capitato spesso di allenare QuarterBack che erano in grado di fare passaggi precisissimi quando avevano la linea di difesa avversaria che li stava braccando a pochi centimetri dal loro naso e che, al contrario, lanciavano delle palle completamente fuori misura quando avevano tutto il tempo per impostare un buon passaggio.

Sono situazioni tratte da sport molto diversi ma che rendono bene l’idea di come in molte occasioni le nostre capacità non vengano utilizzate per la semplice incapacità di “ordinare” alla nostra mente di metterle in pratica.

Ecco, il bravo Trainer non ha la bacchetta magica e non deve creare l’illusione che esista un “trucco” per utilizzare al meglio la propria mente, deve, insieme al cliente “scavare” dentro ad esso, affinché sia il cliente stesso, reso consapevole dei suoi meccanismi mentali, a trovare la chiave giusta per dare in ogni occasione il 100% delle sue capacità.

 Loris Cereda

(loriscereda@alice.it)

 

5 Commenti

  1. Axel

    articolo molto interessante!
    complimenti!
    tu giochi anche on line?

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  2. Alex

    Articolo interessante, l’autore meno visto che è stato radiato a vita dalla federazione. Mi dà molto fastidio la gente che bara, ma quella che bara per ingannare potenziali allievi…. è truffa.

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  3. TM

    E’ vero che Loris Cereda è stato radiato dalla FSI ma la condanna non è definitiva dato che Cereda ha predisposto una sua memoria. La cosa che lascia un po’ perplessi è che Cereda è stato accusato dai suoi stessi compagni di squadra ma non nel momento del “fattaccio” bensì a distanza di alcuni giorni. SeCereda fosse stata denunciato subito si potevano avere prove certe, così ci si deve basare solo su testimonianze.

    In ogni caso anche se Cereda sarà riconosciuto colpevole, se nel suo articolo c’è un fondo di verità sul training mentale, questa verità in quanto tale ha valore al di là di chi la dice. Se è vero che 3+3 fa 6, queswto risultato è vero sia che lo dica Hitler, madre Teresa di calcutta o Gandhi.

    Quindi leggiamo l’articolo senza pregiudizi e riteniamo ciò che è buono

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  4. TM

    ULTIME NOTIZIE: Loris Cereda è stato ASSOLTO in appello.
    la notiza è sul sito della FSI : http://www.federscacchi.it/doc/notcom/d20130418084708_dispositivo.pdf

    Cereda ha dichiarato: Tornero’ a giocare al piu’ presto con la serieta’ e la passione che ho sempre avuto e dimostrato. Le accuse che mi sono state rivolte, seppur nella loro totale infondatezza, mi hanno profondamente danneggiato, oltre che amareggiato, anche sotto il profilo pubblico. Giustizia e’ fatta e mi aspetto le smentite e le scuse di tutti coloro che hanno alzato i toni”.

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